La consapevolezza di noi stessi e del modo in cui comunichiamo trova nel racconto e nella narrazione il suo mezzo elettivo, con effetti e proprietà diversi a seconda che ci affidiamo alla voce e alla pronuncia oppure alla scrittura.
Lo storico delle idee Jean Starobinski ha scritto che i sentimenti “ci sono accessibili solo nel momento in cui si sono manifestati verbalmente o con un altro mezzo espressivo”. Emozioni e sentimenti non sono le parole ma possono diffondersi solo attraverso le parole.
Il linguaggio e le sue forme espressive, voce o scrittura, oltre ad essere necessario per la cognizione delle cose e il ragionamento, rappresentano la soglia da attraversare per rendere comprensibile agli altri il nostro mondo emozionale interno e per renderlo chiaro a noi stessi. In questo senso il celebre scrittore Samuel Beckett diceva che “le parole sono tutto quello che abbiamo”.
L’importanza della voce
La nostra voce è fondamentale per la sua funzione metacomunicativa: essa manifesta e può suscitare emozioni nei nostri interlocutori. Per esempio, può suscitare empatia, distacco, attenzione, distrazione, fiducia, agitazione, ispirazione.
La voce ci arriva in forma di onde sonore che la rendono liquida e avvolgente, a volte dura e stridula, altre morbida e rassicurante. Ci può mettere in risonanza profonda con l’altro ed è la base fondamentale del nostro dialogo interno. La voce è protagonista delle conversazioni interiori che abbiamo con noi stessi, diventa la natura essenziale della nostra coscienza.
La nostra voce ci caratterizza univocamente nella relazione con gli altri, incide profondamente nella nostra forza comunicativa, nella nostra efficacia, nella nostra credibilità e nella efficacia del nostro conversare.
Infine, la voce è uno strumento di lavoro per tutti noi, riempie le nostre giornate lavorative, i nostri dialoghi on-line in tempo di pandemia e veicola i nostri bisogni, le richieste, i desiderata, gli obiettivi, le informazioni necessarie.
Il racconto è una cornice di senso per le nostre vicende
Il suono della voce ci permette di divenire ascoltatori della nostra piccola, personale “odissea”, mentre la scrittura ci consente di farne addirittura un oggetto del mondo, una pagina, qualcosa da rileggere, tenere fra le mani, contemplare o perfino donare.
C’è una grande funzione che il racconto autobiografico o la scrittura aprono nel loro stesso svolgersi, ed è quella di orientarsi al cambiamento, di acquisire potere sulla propria vita per imprimerle una direzione soddisfacente, per andare verso sé stessi in modo creativo.
Gli studi più recenti di neuroscienze hanno messo in evidenza come esista una stretta interazione tra il sistema cerebrale che governa il linguaggio e le connessioni neurali che determinano il movimento. Il linguaggio cioè passa attraverso il coinvolgimento del sistema motorio, preposto al movimento e all’attività.
Si può affermare, semplificando, che il “cervello del dire” e quello “del fare” hanno bisogno l’uno dell’altro. Raccontare noi stessi, scriverne, o produrre storie nostre e racconti ci mette in relazione col futuro, e può essere un modo efficace e potente di agire cambiamenti e raggiungere nuovi obiettivi.
Dare voce alla nostra voce.
Definirsi significa narrare sé stessi diventando riconoscibili nella propria unicità, attraverso il linguaggio inteso come capacità che rende umani e che crea relazioni o legami. Così ne Le mille e una notte la bella Shahrazad salva la sua vita raccontando ogni notte una fiaba che incanta il suo carnefice.
La vita è divenire, ricercare connessione con gli altri, e la nostra voce ne è la sua vibrazione più profonda.
Rossella Maiore Tamponi – Paolo Lorenzo Salvi