La competenza narrativa è data dalla nostra capacità di pensare in forma di racconto, poiché in ogni contesto umano esiste già una storia. Tutti noi abbiamo bisogno di attribuire un senso alla nostra esperienza, una rielaborazione che giunge dopo che le cose sono successe, dopo che ritorniamo al corso degli eventi per trovare un filo rosso di coerenza. Il solo modo che abbiamo per trovare significati alla trama delle nostre azioni è il racconto, l’atto di narrare, esprimendo la nostra abilità naturale di storyteller.
Secondo l’autore di best seller Christopher Booker la ricerca di universalità del significato viene resa disponibile a tutti noi dai buoni narratori:
“Il reale significato della nostra abilità nel raccontare storie è duplice. In primo luogo, fornisce uno specchio unico che rivela le dinamiche interiori della natura umana. Ma in secondo luogo, denudando le fondamenta inconsce che sottostanno al modo in cui vediamo il mondo, può illuminare di una luce straordinariamente rivelatrice la Storia, la politica, la religione, la filosofia e quasi ogni aspetto del pensiero e del comportamento umani”.
La competenza informale del narratore
Se consideriamo la nostra “storia di vita” come un susseguirsi di situazioni e di vicende che ci fanno sperimentare, il nostro campo di esperienze personale crea una base di conoscenza che “raccontiamo agli altri”.
È una competenza informale che si forma estraendo significati individuali dalla trama di esperienze e di ruoli che viviamo. Alla base della competenza informale del narratore c’è un processo di crescita personale che parte dalla riflessione e dalla consapevolezza.
All’interno dei nostri contesti sociali noi agiamo, ci relazioniamo con altre persone, prendiamo delle decisioni spinti da bisogni e desideri, costruiamo ricordi legati ai nostri vissuti emotivi. Sono le azioni compiute in base a cosa sentiamo e proviamo e le scelte che facciamo a costruire le situazioni della vita a dare un senso a ciò che facciamo.
Alcuni più istintivamente ed altri più razionalmente ci leghiamo a idee, ispirazioni, progetti, visioni, speranze, paure, amori e vite altrui che diventano patrimonio di conoscenza personale. La consapevolezza, il flusso di attenzione dove orientiamo i nostri pensieri e la nostra ricerca, ci consente di trasformare questa conoscenza implicita in materiale per l’autobiografia e la narrazione.
Interpretare il significato delle nostre azioni e delle nostre esperienze vuol dire mettere le azioni in connessione con altre azioni. La ricerca di coerenza che naturalmente operiamo ci porta a collocare la singola azione dentro una storia. La vita scorre e bisogna saper cogliere il momento ed il senso: spesso questi elementi ci sfuggono dentro il vortice della quotidianità che tutto assorbe. Abbiamo bisogno di interpretare il vissuto ed i ruoli che giochiamo nella vita di tutti i giorni, per trovare la nostra cornice di un senso. Per farlo tutti noi costruiamo delle storie.
La competenza informale del narratore emerge in tutti noi come esigenza primaria di significato esistenziale e la nostra vita quotidiana è fatta di narrazioni nel nostro dialogo interno e nella relazione con gli altri. Siamo narratori nati con questa competenza informale, come quando attorno ad un falò ci raccontiamo e tutto è semplicemente istinto di narrare.
La competenza dell’empatia
Siamo abituati a riconoscere e comprendere le storie.
“Spesso quando qualcuno legge una storia, l’identificazione con i personaggi e il coinvolgimento emotivo nella storia causa nel lettore simpatia nei confronti dei personaggi, e forse anche la sensazione nei lettori di star sperimentando davvero quegli eventi. Di conseguenza, il lettore diventa empatico quando legge una storia basata sulla fiction.” ( Storytelling in Organizations: Facts, Fictions, and Fantasies. Yiannis Gabriel)
Entriamo in connessione con le storie e quindi sviluppiamo empatia e questa modalità diventa componente espressa quando empatizziamo con i racconti, le vicende e i personaggi delle storie che creiamo o che ascoltiamo.
L’abilità dell’empatia incide sulla competenza espressa del narratore in relazione a due aspetti:
- la componente emotiva che ci fa comprendere ed esprimere le emozioni legate alla narrazione, creando un grado di immersione nella storia che la rende “veritiera” e capace di catturare e di ispirare;
- la componente cognitiva: che ci permette di comprendere meglio la pluralità dei punto di vista dei nostri interlocutori, entrando virtualmente nel loro modo di pensare, analizzando i ragionamenti e prevedendo le possibili reazioni.
Quando condividiamo con gli altri delle storie, come in una serata con gli amici in trascorsa in casa, si condivide la conoscenza di determinate vicende umane. Ma in primis si trasmette il portato di emozioni che la storia può suscitare e che viene messo a fattor comune. La narrazione da questo punto di vista si appoggia alla competenza dell’empatia e ne richiede una espressione sociale per arrivare ad un sentire compartecipato e condiviso.
La competenza del dialogo
La teoria dell’apprendimento relativa al costruzionismo sviluppa l’idea che possano esistere altre narrazioni altrettanto “veritiere” delle nostre, e che noi possiamo sempre cambiare il nostro punto di vista e costruire con gli altri una o più nuove narrazioni.
Ogni nostro racconto è costituito da una trama di avvenimenti, personaggi ed azioni tenuti insieme dal nostro “format narrativo”, dalla nostra capacità di raccontare in termini di relazioni e interconnessioni quello che ci è successo.
Per Wikipedia il Il termine dialogo (dal latino dialŏgus, in greco antico διάλογος, derivato di διαλέγομαι «conversare, discorrere» composto da dià, “attraverso” e logos, “discorso”) indica il confronto verbale che attraversa due o più persone come strumento per esprimere sentimenti diversi e discutere idee non necessariamente contrapposte. Tramite il dialogo emergerà una nuova storia, oppure potremmo ritrovare una comprensione diversa di una storia già raccontata, che progressivamente verrà sempre più elaborata in termini di significati condivisi con gli altri.
Seguendo questo approccio, ricostruire le nostre narrazioni dialogiche è un modo di apprendere e dare senso alle cose. Esprimiamo la competenza narrativa del dialogo con le altre persone che ci consente di intrecciare le storie e di costruire senso insieme:
«E nell’interazione tra narratore e ascoltatore che emergono nuove narrative: il testo che si sviluppa e qualcosa che avviene tra le persone» (Allen e Allen, 1997).
Bruner dice che la vita è un romanzo, è la storia che narriamo di noi stessi. Per questo psicologo dell’educazione non occorre essere grandi romanzieri, ci è sufficiente essere solo esseri umani capaci di contestualizzare piccole e grandi esistenze nel palcoscenico di una storia.
Tutti noi sappiamo narrare costantemente il nostro romanzo di vita nei dialoghi quotidiani, tra piccole e grandi scene da commedia e da tragedia. In questo modo diamo ricostruiamo in senso autobiografico la nostra vita e utilizziamo tutti il pensiero narrativo per raccontare dei materiali che sono a tutti gli effetti dei testi letterari, che a loro volta tornano a dare significato alla nostra esistenza.
La competenza di story making, essere costruttori di storie
Secondo Annette Simmons, autrice di “The Story Factor” chiunque cerchi di influenzare gli altri deve prima conoscere la propria storia e sapere come raccontarla attraverso lo sviluppo di un arco narrativo. Sia che ci stiamo accingendo ad una nuova impresa rischiosa, oppure stiamo cercando di concludere un affare o conducendo una personale battaglia contro una ingiustizia subita da noi o da altri, abbiamo tutti una storia da raccontare.
Ci sono alcune tecniche alla portata di tutti noi per reperire storie e riferirci ad esse come modelli. Eccone alcune che ci rendono story maker, ovvero costruttori di storie.
- Cercare modelli simili: temi ricorrenti che ci aiutano a stabilire “chi siamo” come persona; momenti “epici” nella nostra vita e il loro significato per noi.
- Individuare le conseguenze: si richiamano alla memoria i risultati positivi e negativi degli sforzi passati e come hanno contribuito a farci sviluppare i metodi in cui crediamo oggi.
- Cercare lezioni da trasmettere: ricordare le crisi passate e ciò che hanno insegnato. Rievocare il nostro più grande sbaglio, un punto di svolta nella carriera lavorativa e cosa abbiamo imparato da questi momenti;
- Cercare l’utilità: tutti abbiamo un racconto che ci ha cambiato; possiamo ispirarci a storie che abbiamo sentito e che sembrano funzionare al loro scopo.
- Cercare riferimenti come film o libri: il film o il libro preferito ci piace per un motivo preciso che possiamo portare nelle nostre narrazioni personali.
- Cercare esperienze future: sviluppare i sogni e le visioni future in una storia che popoliamo con personaggi reali, le persone apprezzano di essere inserite in un racconto come personaggi.
La congruenza e la coerenza sono elementi vitali. La visione, gli insegnamenti e i valori presenti nei nostri racconti sono materiale per alimentare anche le storie degli altri e renderli a loro volta “story maker“.
Competenza informale, empatia, dialogo e story making sono parte della competenza narrativa. I racconti personali permettono agli altri di vedere chi siamo in modo più immediato di qualsiasi altra forma di comunicazione e permettono a noi di auto rivelarci, scoprendo aspetti della nostra storia di vita che rimarrebbero altrimenti invisibili.