Che cosa rende la comunicazione interpersonale efficace e costruttiva? Cosa rende invece la comunicazione incapace di agevolare conversazioni sane? Cosa caratterizza le dinamiche relazionali in cui i messaggi non portano scambi virtuosi? Quali modelli comunicativi ostacolano sia la socialità che la crescita individuale?
L’approccio dell’Analisi Transazionale contempla fra i suoi modelli teorici uno schema che permette di analizzare la comunicazione disfunzionale, al fine di promuovere la consapevolezza e l’uscita da quelle “trappole” in cui spesso cadiamo, nostro malgrado.
In questi tranelli percepiamo in modo confuso emozioni di malessere o un senso di inadeguatezza e di impotenza. Nello scambio comunicativo spesso si celano messaggi “ulteriori”, dei quali cioè non siamo consapevoli nella relazione con gli altri.
Il triangolo drammatico
Il modello del “Triangolo Drammatico” fu elaborato da Stephen Karpman nel 1968 e da allora rappresenta uno degli strumenti principe dell’Analisi Transazionale, attenendosi alla semplicità e immediatezza del linguaggio che caratterizzano questo orientamento teorico, con un lessico chiaro e accessibile.
Il modello si basa sull’identificazione di tre “ruoli drammatici” che ognuno di noi può ricoprire a seconda dei suoi schemi di comportamento nelle relazioni, e delle personali dinamiche intrapsichiche. Il mondo – come diceva Shakespeare – è un palcoscenico sul quale recitiamo uno o più ruoli, proprio come gli attori di un dramma. Per illustrarli partiamo da un esempio.
Silvia sta preparando la cena. Si rivolge al marito Claudio per chiedergli aiuto: S.: Mi dai una mano in cucina? C.: Si certo, arrivo … S.: Prepara il soffritto mentre io finisco di decorare il dolce Claudio lava le verdure, le taglia e le versa nella pentola con l’olio. Silvia si avvicina ed esclama: Ma noooo! Hai usato troppo olio non vedi? E le verdure sono a pezzi troppo grossi! Non ci metti un minimo di impegno! C.: Allora preparatelo tu il soffritto! S.: Come al solito! Devo fare sempre tutto io!
- Dapprima Silvia fa una richiesta di aiuto, senza fornire tuttavia a Claudio istruzioni precise. La posizione iniziale di Silvia è inconsapevolmente “persecutoria”: comunque si comporterà Claudio lo farà in modo errato: se la aiuta sbaglierà nel modo in cui lo fa, se non l’aiuta sbaglierà per il fatto di non farlo.
- Claudio accoglie la richiesta apprestandosi a soddisfarla. Entra pertanto in un ruolo di “salvataggio”nei confronti della moglie. Non avendo istruzioni dettagliate, e potendo contare su una scarsa esperienza, Claudio esegue il compito a suo modo, ma un modo che scontenta la moglie, la quale conferma il proprio ruolo di “persecutore” ed esprime su di lui un giudizio severo e negativo.
- Claudio, dopo essere diventato una “vittima” dell’attacco di Silvia, reagisce bruscamente sottraendosi alla richiesta, ed entrando così a sua volta nel ruolo di “persecutore”, mentre Silvia si trasforma nella “vittima”, costretta a sostenere tutto il peso delle faccende domestiche.
Nell’arco di un tempo molto breve la comunicazione fra Silvia e Claudio evidenzia il loro passaggio da un ruolo all’altro, in uno scambio che lascia entrambi insoddisfatti e, per restare in tema gastronomico, “con l’amaro in bocca”.
I ruoli “drammatici” che giochiamo
I ruoli drammatici si trovano ai vertici di un triangolo che illustra la dinamica comunicativa fra il “persecutore”, il “salvatore” e “la vittima” (cfr. Figura 1, in cui le frecce indicano la direzione dello scambio di ruoli).
- Il persecutore si colloca in una posizione di superiorità rispetto all’interlocutore, si sente OK e considera gli altri NON OK, svalutandone le capacità.
- Il salvatore si pone nella posizione di chi soccorre, aiuta, si rende utile, è disponibile e compiacente. In apparenza si prodiga per gli altri ma cela in fondo la convinzione che gli altri “non siano in grado”, o non abbiano sufficienti capacità. Anche in questo caso avviene una svalutazione dell’interlocutore e, in definitiva, il salvatore si sente OK mentre percepisce gli altri in posizione one down.
- Infine abbiamo la vittima, la quale oltre ad essere tale per gli altri lo è anche per se stessa, in un processo di auto-svalutazione. Si sente infatti NON OK, inadeguata, sfortunata o incompresa, e reputa che gli altri le siano superiori.
Ognuno di noi può assumere uno dei tre ruoli, e passare dall’uno all’altro. A seconda della percezione di sé e del mondo (posizione esistenziale) ricopre tuttavia un ruolo “preferito” nel quale trascorre la maggior parte del tempo.
La rotazione dei ruoli drammatici all’interno del triangolo è caratterizzata dal fatto che, ad ogni scambio di ruoli, ciascuno dei protagonisti avverte una sorpresa, un effetto spiazzante, in molti casi si sente confuso. Finisce col provare un’emozione spiacevole, dato che come abbiamo visto la rotazione nel triangolo implica una svalutazione, di sé stessi o degli altri nella dinamica relazionale.
Si attua un processo di comunicazione disfunzionale in quanto sono tre ruoli non autentici, i quali non si fondano su una posizione adulta e non comprendono un esame realistico di noi stessi, dell’altro e della realtà. Sono la proiezione nel “qui ed ora” di strategie infantili, inadeguate e disfunzionali, di andare avanti nella vita.La comunicazione costruttiva
Il primo passo è riconoscere lo schema del triangolo drammatico, il secondo, il più difficile, è provare a uscirne. Questi schemi rappresentano qualcosa di noto, familiare: pur essendo dannosi, il fatto di superarli può farci sentire insicuri e spaesati inizialmente. Ciò non toglie che abbandonare da questi circoli viziosi comunicativi può avvicinarci a una maggiore serenità.
Come sarebbero andate le cose nell’esempio riportato se la comunicazione fosse stata costruttiva nel rapporto tra Claudio e Silvia? Una possibilità sarebbe stata che Silvia specificasse il procedimentoper fare un buon soffritto. Claudio, dal canto suo, avrebbe potuto rispondere affermando pacatamente, ma con decisione, che l’affidargli un incarico comprendeva l’accettazione del modo in cui l’avrebbe svolto.
Una comunicazione costruttiva richiede dunque la conoscenza del proprio ruolo, la cui consapevolezza consente di valicarlo e divenire coscienti del modo in cui ci si approccia all’altro nelle relazioni. Come nelle fiabe o nei copioni ogni personaggio che ricopre un ruolo ha bisogno degli altri personaggi che lo confermino. Non ci sarebbe Cenerentola senza le sorellastre e la matrigna a farne una vittima, così come non ci sarebbero le peripezie di Renzo e Lucia ne “I Promessi Sposi” senza il persecutore Don Rodrigo …
Conoscere il nostro ruolo preferito ci permette dunque di far saltare la trama, ci evita di restare invischiati, senza rendercene conto, fra i nodi e gli intrecci della comunicazione disfunzionale!
… siamo gli attori ingenui sulla scena di un palcoscenico misterioso e immenso.
(Francesco Guccini)
Rossella Maiore Tamponi – Paolo Lorenzo Salvi